Terreno agricolo vs. investimenti finanziari: qual è la scelta più redditizia oggi?

Negli ultimi anni si è tornati a parlare di terra. Non tanto per poetiche malinconiche e bucoliche, quanto per questioni assai più materiali: investimento, rendimento, protezione dall’inflazione. L’oro è stato per decenni il rifugio sicuro, il bene che non tradisce. Ma c’è un’alternativa meno chiacchierata e forse più interessante, anche se a prima vista può sembrare un po’ fuori moda: il terreno agricolo

Vale davvero la pena comprare un terreno?

Chi ha comprato terreni agricoli negli anni passati oggi si ritrova con un bene che non solo ha mantenuto il valore, ma in molti casi lo ha fatto crescere in silenzio. Il confronto con l’oro, a ben vedere, non è poi così strano. Quando l’inflazione sale, anche i prezzi dei prodotti agricoli salgono e i terreni che li producono seguono a ruota. Semplice causa-effetto.

Immagine selezionata

È vero, l’oro non si svaluta, questo lo sappiamo bene. Ma nemmeno frutta nulla mentre lo tieni in cassaforte. Il terreno, invece, può generare reddito annuo dopo anno, sia se affittato o coltivato. Tra canoni d’affitto e rivalutazione del suolo, alla lunga il conto torna. Ed è meno effimero di quanto sembri.

C’è anche un aspetto che spesso viene ignorato: la volatilità. Parola un po’ astrusa per dire quanto oscilla il valore di qualcosa. L’oro può impennarsi, ma anche cadere a precipizio. Il terreno, invece, si muove con più lentezza. Ha una stabilità maggiore e nei momenti di turbolenza economica questo può fare la differenza, anche solo per dormire meglio la notte.

Il rendimento di un terreno agricolo

Negli Stati Uniti, ad esempio, nei periodi in cui l’inflazione ha superato il 3%, ai terreni agricoli hanno superato loro il rendimento, e con meno sbalzi. È un dato che non fa rumore, non riempi il titoloni. Però pesa. E pure parecchio. Oltretutto, si parla di un bene tangibile. Lo puoi toccare, camminarci sopra, annusarci la terra umida dopo la pioggia. Altro che lingottini chiusi in cassaforte.

Immagine selezionata

Va anche detto che non esiste un “terreno agricolo”, ma tanti tipi diversi. Coltivazioni intensive, uliveti, vigneti, maggesi, boschivi… ognuno ha le sue dinamiche, i suoi rischi e guadagni potenziali. Alcuni vengono affittati a lungo termine, con contratti che garantiscono una rendita quasi automatica. Altri invece richiedono più partecipazione, magari persino una certa vocazione agricola o perlomeno un po’ di dimestichezza.

Una forma piuttosto diffusa è il cash lease: l’agricoltore paga un affitto fisso al proprietario e si assume tutti i rischi. Il vantaggio? Entrate regolari e prevenibili, senza troppe complicazioni. Poi c’è il custom farming, dove il proprietario delega la gestione ma mantiene parte della responsabilità. Infine, per i più intraprendenti, c’è la conduzione diretta: coltivare con le proprie mani, o con l’aiuto di personale. Ma lì il rischio sale e anche la fatica.

L’aumento di domanda per i terreni agricoli

Nel frattempo, la tecnologia avanza: droni, sensori nel terreno, serre idroponiche, coltivazioni verticali. Tutto cambia. Anche il concetto stesso di agricoltura. Alcune aziende stanno cercando di reinventare il modo in cui produciamo cibo. Altre puntano sulla sostenibilità. È un settore che, pur sembrando antico, e in pieno fermento. Un po’ come certi quartieri dimenticati che tornano improvvisamente di moda.

Immagine selezionata

Con una popolazione in crescita costante è sempre meno terra coltivabile e disponibile, la domanda di cibo aumenterà. E quindi anche quella di terra. Non serve essere economisti per capirlo. Eppure, in tanti ancora trascurano questo tipo di investimento, forse perché sembra qualcosa di vecchio, o poco redditizio. Ma è solo un pregiudizio.

La terra non si inventa, non si fabbrica. È limitata. E se aumenta la richiesta senza aumentare l’offerta, il valore sale. Non è una legge arcana. Ed in un mondo globalizzato è sempre più instabile, avere qualcosa di concreto il locale può fare la differenza. Non solo per il portafoglio, ma anche per un certo senso di continuità.

Per concludere l’argomento

Certo, investire in un terreno agricolo non è come cliccare su un’app per comprare un’azione. Serve tempo. Serve pazienza. A volte serve pure un notaio. Ma questo lo rende anche meno soggetto a bolle speculative. È un investimento da persone morigerate, per certi versi. Non ci si diventa milionari da un giorno all’altro. Però si costruisce qualcosa che resta, magari da lasciare ai figli.

Immagine selezionata

Ho conosciuto una coppia che ha acquistato un ettaro di terreno dieci anni fa, pensando di farci una casetta. Non ci hanno mai costruito nulla. Ma oggi quel terreno vale il doppio. E lo affittano a un coltivatore che ci pianta ortaggi biologici. Ogni anno ricevono l’affitto, senza fare nulla. Quando lo raccontano, sembrano quasi stupiti di quanto sia andata liscia.

Per concludere, non si tratta di trovare l’investimento perfetto. Quello non esiste. Ma ignorare la terra, oggi, è forse l’errore più grosso che si possa fare. Anche solo una piccola parte del proprio capitale, se impiegata con buon senso in un terreno, può dare soddisfazioni. Non solo economiche. C’è qualcosa di profondamente concreto e, oso dire, imperituro, nel possedere un pezzo di mondo.

Lascia un commento